Scritti etico-religiosi by John Locke

Scritti etico-religiosi by John Locke

autore:John Locke
La lingua: ita
Format: epub
editore: UTET
pubblicato: 2014-06-03T16:00:00+00:00


[XIII. La salvezza prima della venuta di Gesù Cristo.]

Solitamente si obietta qui, se tutti i peccatori saranno condannati, tranne coloro cui è stata fatta indulgenza per grazia — e in questo modo sono giustificati da Dio per la fede in Gesù il Messia e per averlo così costituito loro re, cui essi decisero di obbedire con tutte le loro forze —, che cosa avverrà di tutta quella parte dell’umanità che visse prima della venuta del nostro Salvatore, che mai udì il suo nome e di conseguenza non potè credere in lui? La risposta a questa domanda è così ovvia e naturale, che ci si meraviglierebbe che una persona ragionevole la ritenesse degna di esser proposta. A nessuno fu richiesto, né può esser richiesto, di credere in ciò che mai fu proposto alla sua fede. Dio, il quale, prima della pienezza dei tempi, per deliberazione della sua sapienza, aveva stabilito di mandare il suo Figlio, aveva, in momenti diversi ed in differenti modi, promesso al popolo d’Israele l’avvento di una persona straordinaria, che, sorta in mezzo a loro, sarebbe stata loro capo e liberatore. Egli aveva così accuratamente descritto in numerose profezie il tempo e altri particolari della sua nascita, vita e carattere, e lo aveva così chiaramente preannunziato, che questi era ben conosciuto e atteso dai Giudei sotto il nome di Messia, o Unto, a lui dato in alcune di quelle profezie. Tutto ciò che allora era richiesto, prima del suo apparire nel mondo, era di credere in ciò che Dio aveva rivelato e di fare assegnamento con piena fiducia in Dio per il compimento della sua promessa; e credere che nel tempo stabilito egli avrebbe inviato loro il Messia, questo unto re, questo promesso salvatore e liberatore, secondo la sua parola. L’Onnipotente accoglie questa fede, alla portata delle nostre mani, nelle promesse di Dio, questo far affidamento sulla sua parola e sottomettersi ad essa con fedeltà, come un grande segno di omaggio reso da noi povere e fragili creature sia alla sua bontà e verità, sia alla sua potenza e saggezza, e lo accetta quale riconoscimento della sua speciale provvidenza e benevolenza verso di noi. E perciò il nostro Salvatore ci dice (Gv. 12,44): «Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato». Le opere della natura mostrano la sua saggezza e la sua potenza: ma è la sua particolare cura nei confronti del genere umano, rivelata nel modo più eminente nelle promesse a lui rivolte, che mostra la sua bontà e benevolenza e che, di conseguenza, impegna i loro cuori nell’amore e nell’affetto per lui. Quest’offerta di un cuore fermo nella dipendenza da lui e nell’affetto per lui è il tributo più gradito che noi possiamo rendergli, il fondamento della vera devozione, e la vita di tutta la religione. Quale valore egli riponesse in questa dipendenza dalla sua parola e in questo confidare persuasi nelle sue promesse vediamo in Abramo, la cui fede «gli fu contata come giustizia», come in precedenza abbiamo potuto rilevare in Rom.



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